4. La ricostruzione - Associazione Culturale Olivadese

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4. La ricostruzione

Più correttamente si dovrebbe parlare di “mancata ricostruzione”.
Ma, senza anticipare cose su cui torneremo più avanti, andiamo senz’altro ai fatti.
Il Pro Sindaco Vittorio Mellace il 27 aprile 1909 (40) così si espresse: “E’ purtroppo nota la gravissima condizione in cui giacciono i fabbricati di questo paese, quasi distrutti dal terremoto 1905; sono altresì note le ripetute istanze che quest’Amministrazione ha rivolte alla Prefettura, nonché al Governo del Re con deliberazioni 2 novembre 1906 n° 53, 16 febbraio 1907 n° 3, e 7 marzo 1908 n° 4 onde provocare urgenti e radicali provvedimenti per la riparazione e ricostruzione dei fabbricati medesimi; anche direttamente a S.M. il Re si sono spedite copie delle due ultime predette deliberazioni, nonché due telegramma in data 11 ottobre 1907 e 22 maggio 1908. L’Augusto Sovrano, a mezzo del Suo Ministro, con telegramma del 13 ottobre 1907, con lettere 19 marzo e 23 maggio 1908 n° 2903 e 5261 rispondeva, che si sarebbe interessato alle sorti di questo Comune.
Il terremoto del 28 dicembre 1908 ha vieppiù rovinati i fabbricati stessi, e sinora, è doloroso constatarlo, nessun benefico provvedimento è stato adottato a favore di questo paese.
Intanto, gran parte dell’afflitta popolazione vive nelle immonde e malsane baracche; ed il resto di essa è dolorante in case inabitabili e quasi pericolanti!
Le nobili e solenni promesse dell’Augusto nostro Sovrano mi rendono ardito rivolgere nuovamente analoghe istanze, affinché si benigni disporre l’esecuzione, in questa stagione, degl’invocati provvedimenti, e che Olivadi sia altresì compreso nella Legge pro Reggio e Messina.
Mi auguro che gli esempi di pietà gentile in cui rifulsero di nuova luce il Re e la Regina d’Italia potranno seguire a favore di questo paese, desolato anch’esso dalla sventura!
(41).
La seduta del Consiglio Comunale da cui è tratto il passo che precede si concluse con l’approvazione, all’unanimità, della proposta del Mellace e la decisione di spedire copia dell’istanza direttamente al Re e al Ministro dell’Interno.
Sembrano, a questo punto, opportune alcune considerazioni.Se la sequela di istanze e appelli di cui è costellata questa vicenda può irritare, occorre ricordare che tali atti costituiscono l’unico (e, purtroppo, non molto efficace) strumento per attirare l’attenzione di chi, per ruolo istituzionale, aveva il dovere di provvedere alla soluzione di certi problemi. Se pensiamo ad ogni richiesta come ad un atto in cui venivano riposte le aspettative e le speranze di un popolo allo stremo, se consideriamo che quelle espressioni (è vero, a volte un po’ ripetitive e retoriche) veicolavano, a chi non voleva intendere, la disperazione e l’angoscia degli Olivadesi, questo dovrebbe, credo, attenuare il fastidio che può derivare dalla sensazione di aver “già sentito” quello che si legge.
Si è parlato di ricostruzione. Purtroppo si deve dar conto delle vicende di una mancata ricostruzione. Ed al ritardo e all’assenza dell’intervento dello Stato, fanno riscontro puntuale le lagnanze di una popolazione in grande difficoltà.
Con la legge n° 445 del 9.7.1909 Olivadi venne inserito nell’elenco dei Comuni da trasferire a spese dello Stato (di ciò vi fu un’anticipazione sull’ “Avanti!” del 24.6.1908). Di tale provvedimento nei fatti non vi fu (difficile da credere …) nessuna applicazione.
Ancora: del luglio 1909 sono una proposta da parte di cinque Consiglieri Comunali (non sono indicati i nomi dei firmatari) di adesione al “Comitato provinciale di agitazione” che nel frattempo (su impulso del Consiglio Provinciale di Cosenza), si era costituito nel tentativo di sollecitare l’intervento dello Stato a favore delle zone terremotate; la richiesta che Olivadi venisse inserito nell’elenco di cui all’art.1 della legge n° 12 del 12.1.1909 pro Reggio e Messina.
La proposta di aderire al Comitato di agitazione venne trascurata, proprio confidando nell’inclusione di Olivadi nell’elenco previsto dall’art. 1 della citata legge (e di ciò gli Amministratori olivadesi avevano ricevuto assicurazione da parte del Prefetto) (42).
Come si può notare ad Olivadi ancora “confidavano”…
Il 31.1.1910 un’ulteriore richiesta formulata al Re e al Governo rinnova l’auspicio che Olivadi sia incluso nell’elenco dei Comuni di quel famoso art. 1 della legge pro Reggio – Messina e chiede la “riparazione e ricostruzione dei fabbricati,  non compresi nella zona da spostare, a spese dello Stato(43).
A giugno dello  stesso  anno  si  registra  un  secondo  intervento  alla Camera  dell’ On. Staglianò: “… a meno che non si arrivi alla sopraffazione, come è accaduto per il comune di Olivadi, il quale benchè distrutto per ¾ dal terremoto e quindi escluso dall’elenco dei comuni danneggiati, vide soffocate le sue legittime aspirazioni in un rivolo di sangue sparso col piombo dei carabinieri. Ma questo significa soltanto che il loro buon diritto è stato sanzionato dal sangue di tanti martiri”. (Staglianò Natale - Camera Deputati - Legislatura  XXIII, 6.6.1910).
Questo secondo intervento, se non esonera l’On. Staglianò dalle responsabilità di aver fatto poco per Olivadi, segna almeno una presa di posizione netta da parte del parlamentare nei confronti di tutta la vicenda e dei responsabili della stessa.
 Di nuovo l’8 gennaio 1911 in Consiglio Comunale si parla delle medesime questioni (“rivolte nuove premure al Governo”) e si dà notizia che il 22 novembre 1910 il Prefetto di Catanzaro aveva comunicato, su incarico del Ministero, che Olivadi era stato escluso dall’elenco dei Comuni danneggiati dal terremoto del 1908 e che quindi veniva meno “la possibilità di secondare i voti dell’Amministrazione(44).
La reazione del Sindaco Vittorio Mellace fu questa: “(…) Negare l’invocato diritto a questo paese, ch’è uno dei più rovinati fra quelli della Povincia di Catanzaro, per effetto anche del terremoto del 1908, significa non voler rendere giustizia, forse perché il rappresentante politico non ha avuto il coraggio di alzare la voce in Parlamento a pro d’una popolazione senza case, che in gran parte vive in immonde baracche. Infatti, se il rappresentante stesso avesse esposte le tristi condizioni di Olivadi, ne avrebbe ottenuto l’inclusione nell’elenco dei danneggiati 1908, come venne praticato per Martirano, Tropea ed altri Comuni, che furono distrutti dal terremoto 1905.
Dinanzi a questo ingiustificato abbandono, che ha provocato il malcontento generale, non resta che rivolgersi al nostro Sovrano che nell’ottobre 1907 avea promesso interessarsi delle sorti di questo paese, e che può benissimo far riconoscere il sacro diritto della sventurata popolazione
(45).
Faccio fatica ad aggiungere un commento.
Il 24 ottobre 1911 l’intero Consiglio Comunale si dimise. Vediamo perché.
Vittorio Mellace, all’inizio della seduta consiliare, comunicò agli amministratori che la Giunta Provinciale Amministrativa aveva ordinato (l’11.9.1911) al Comune di Olivadi di provvedere all’aumento dell’assegno all’Ufficiale Sanitario da lire cento a lire trecento, poi così continuò: “Colleghi, Da Voi ebbi il mandato da Sindaco, ed io, con la speranza di essere coadiuvato dalle Autorità Superiori l’accettai, col fermo proponimento di apportare al nostro paese, avvilito dai moti tellurici e dall’eccidio del 21 giugno 1908 – un sollievo ed un miglioramento economico e morale; ma ne rimasi deluso. Pel primo mi venne negato quel provvedimento di suprema giustizia, e cioè la inclusione di Olivadi nell’elenco dei danneggiati di cui all’art. 1 della Legge pro Reggio  e Messina, mentre tanti altri Comuni della Calabria, senza alcun diritto, vennero compresi. Ed in proposito vorrei ricordare: Solenni promesse del nostro beneamato Sovrano; se non assoluta insufficienza del rappresentante il collegio, almeno completo, doloso disinteressamento; la prova che per alcuni Comuni della nobile Calabria manca il principio di giustizia distributiva. Che dopo calde istanze al Governo per un sussidio in favore della giovinetta Paola Garieri, ch’ebbe spezzata una gamba dal piombo dei Carabinieri, mi venne risposto: che il Ministero non ha i fondi disponibili! E tante altre cose, delle quali credo prudente tacere. Non di meno non mi scoraggiai, e con duri sacrifizi, mi proposi l’esplicazione di tre importanti opere pubbliche. 1° Orologio. (…). 2° Conduttura di acqua potabile in paese. (…). 3° Ampliamento p. cimitero, costruzione dell’ossario e della chiesetta e sistemazione della relativa strada. (…).  Senonchè, nel chiedere alla Prefettura l’invio della somma di che trattasi, vengo a conoscere che la Provincia non avea eseguito il versamento in c/c., non solo, ma che vi si rifiuta, escogitando al Comune cavilli e pretese infondate. La Prefettura, dunque ha ingannato, in buona fede però, questo Comune, perché, per difetto della £ 7016,76 (testualmente, n.d.a.), non si può dare esecuzione ai lavori del cimitero, opera, questa, di capitale importanza. Ciò non basta, mi giunge dalla Prefettura copia della suddetta ordinanza della G.P.A., la quale impone al Comune di aumentare lo stipendio all’ufficiale sanitario. Questa generosità dell’Autorità Tutoria d’imporre sempre a carico dei bilanci dei Comunetti, senza mai rivolgere occhio benigno alle reali condizioni economiche dei bilanci stessi, mi scoraggia a tal segno da non voler più occuparmi dell’Amministrazione Comunale.  E ciò perché mentre ci affatichiamo, a furia di sforzi e di sacrifici, di far camminare l’azienda pubblica, col pareggio del bilancio, l’Autorità Tutoria si preoccupa soltanto di imporre nuovi esiti.
Sicchè, senza scrutare se l’imposizione del nuovo aumento al condottato sia regolare, e senza voler classificare ingiusto, immeritato l’aumento stesso, preferisco lasciare il posto da Sindaco e da Consigliere. Infatti, sin da questo momento ne declino il mandato, perché non posso, né voglio secondare le esorbitanti pretese di qualcuno, né di eseguire le imposizioni delle Autorità.
Vi ringrazio, intanto, della fiducia finora accordatami, e mi auguro che il successore saprà meglio guidarvi. (…)
(46).
La posizione del Sindaco fu immediatamente condivisa dall’Assessore anziano Domenico De Septis e via via dagli altri Consiglieri. La seduta si concluse con le seguenti decisioni: “Atteso che, in questo stato di cose, il Consiglio non può più oltre esercitare le proprie mansioni, e che è più dignitoso allontanarsi da questo assolutismo imperante dell’Autorità Tutoria; considerando, infine, giustificatissime le determinazioni del Sindaco; per questo motivo rassegna unanimemente la carica e delega il Segratario di darne partecipazione alla Prefettura ed attendere provvisoriamente il funzionamento dell’Ufficio in sostituzione dell’Amministrazione dimissionaria(47).
Trascorsi alcuni giorni dalle dimissioni, il Sindaco Vittorio Mellace fu convocato dal nuovo Prefetto (insediatosi solo da qualche settimana). Il capo della Prefettura gli fornì giustificazioni in merito alla nota emessa dal suo ufficio (l’11.09.1911) attribuendo la responsabilità del contenuto della stessa all’errore di un copista. Riferì, inoltre, che la decisione della G.P.A. era sì stata annunciata, ma non ufficialmente presa. Espresse, infine, rammarico per Olivadi e le sue condizioni, impegnandosi a tentare di risollevarle.
Gli esiti dell’incontro indussero il Sindaco a ritornare sui suoi passi e ritirare le dimissioni; il Consiglio Comunale (48), anche in questo caso, ne seguì le decisioni.
La legge n.1039 dell’11.07.1913, all’art.11, dispose che per Olivadi le località delle “nuove edificazioni fossero le contrade San Giorgio e Duca degli Abruzzi escluse le vicinanze dei cigli”.
Questo provvedimento, straordinariamente tempestivo ed efficace, oltre a risolvere tutti i problemi di Olivadi, mette in risalto la notevole cura del legislatore nei confronti dei cittadini (come si evince dal prezioso suggerimento circa la collocazione dei nuovi fabbricati …).
E, si badi, stiamo parlando di cose realmente accadute!
Per concludere: dopo due violenti terremoti, decine di richieste, istanze, preghiere, una strage, un processo falsato, quello che rimane è che gli Olivadesi dovettero ricostruire il proprio paese con le loro forze.  Di fatto una “ricostruzione” (intesa come intervento specifico e circoscritto nel tempo) non ci fu. Il paese  andò riprendendo forma (quella attuale in parte risale a quegli anni) con i ritmi scanditi dalla esiguità delle risorse della popolazione, in un’opera che durò svariati anni.

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